Presidenziali in Francia, pt. II

  • Mai una campagna presidenziale francese si era giocata tanto sui social media, usati in particolare per conquistare il voto dell’elettorato più giovane
  • A quasi due settimane dal voto finale, ci siamo chiesti se può esserci correlazione tra comportamento elettorale e presenza social dei principali candidati
  • Il caso più eclatante è quello di Melenchon, trainato dal voto dei giovani e dotato del “dono dell’ubiquità”

 Una vittoria “senza gloria” per Macron

“Non sono più il candidato di un campo, ma il presidente di tutti. So anche che molti francesi hanno votato per me per bloccare l’estrema destra. Voglio ringraziarli e dire loro che il loro voto per me costituisce un obbligo per i prossimi cinque anni”.

Nel suo discorso della vittoria, Emmanuel Macron dimostra subito di essere consapevole delle condizioni della sua rielezione: aver vinto le presidenziali grazie al “fronte repubblicano”, con i voti arrivati dalla sinistra, dal centro e dalla destra moderata pur di bloccare l’ascesa di Marine Le Pen.

Primo presidente francese a essere rieletto negli ultimi 20 anni, Macron ha vinto con il 58,5% dei voti nel duello contro Marine Le Pen. Tuttavia, il clamoroso risultato dell’estrema destra, l’alto tasso di astensione e la previsione di tempi futuri non semplici dal punto di vista sociale, economico e politico l’hanno resa una vittoriasenza trionfo e senza gloria, come definita da opinionisti e giornalisti francesi. Emblematico il fatto che, in questa occasione al Champ-de-Mars, il Presidente sia stato accompagnato dalla moglie e da alcuni bambini, figli di membri del suo staff. Come scrive Le Monde, “Nessuna folla esultante questa volta, solo persone sollevate”.

Soprattutto in vista delle legislative del 12 e 19 giugno, sono diverse le questioni di cui il Presidente deve tenere conto, che potrebbero costringerlo a una “coabitazione” già a pochi mesi dall’inizio del suo nuovo mandato.

Il mandato di Emmanuel Macron sembra minacciato, oltre che dal tasso di astensione al 28%, anche dal voto dell’estrema destra. Il 41,8% degli elettori (8 punti in più rispetto al 2017) ha dato infatti fiducia a Marine Le Pen, tanto che la leader del Rassemblement National ha parlato di una “storica vittoria” per la sua area politica. Ma non solo, perché Macron sembra doversi preoccupare anche di ciò che accade a sinistra. Secondo una prima analisi dei flussi elettorali condotta da Ipsos, solo il 42% di coloro che al primo turno avevano votato per Jean-Luc Mélenchon, leader degli Insoumis, al secondo ha dato la propria preferenza al presidente uscente, il 17% ha votato per Marine Le Pen, mentre il 41% scheda bianca o si è astenuto. Inoltre Mélenchon, poco dopo gli esiti elettorali, non ha nascosto la sua intenzione di voler diventare Primo ministro anche per frenare le politiche liberiste di Macron, definendolo a suo giudizio “il Presidente peggio eletto della Quinta Repubblica che galleggia in un mare di astensioni, schede bianche o nulle”.

Il risultato di queste presidenziali sembra quindi mostrarci un paese diviso in tre poli: un polo di centro che ha assorbito i vecchi partiti di governo, un polo di destra sovranista e uno di estrema sinistra.

La presenza social

In una Francia polarizzata e segnata dagli alti risultati elettorali dell’estrema destra e dell’estrema sinistra, ci siamo chiesti se può esserci correlazione tra comportamento elettorale e presenza social dei primi quattro candidati al primo turno (Emmanuel Macron, Marine Le Pen, Jean-Luc Mélenchon e Eric Zemmour). Rispetto a quella del 2017, questa campagna elettorale ha visto ancora più interesse per le piattaforme social da parte dei candidati. Tra le peculiarità si evidenziano non solo una particolare attenzione al linguaggio comunicativo dei giovani, ma anche un paradosso che vede i due candidati  – Éric Zemmour e Jean-Luc Mélenchon – con la strategia digitale più forte e i sostenitori online più mobilitati, fermarsi al primo turno.

Analizzando la comunicazione strategica digitale, sembrano essere stati i candidati più radicali ed estremi dello spettro politico a distinguersi, in una campagna in cui la presenza sui social network è stata una vera sfida, in particolare per catturare l’attenzione dell’elettorato più giovane.

Il candidato Insoumis rimane senz’altro il più creativo, scegliendo l’innovazione tecnologica per attirare l’attenzione, come ad esempio l’ologramma. Novità inaugurata nella campagna 2017, durante il suo comizio lo scorso 5 aprile viene utilizzata per proiettare la sua immagine contemporaneamente su palcoscenici allestiti in altre 11 città, raggiungendo così più di 20.000 persone in un colpo solo.


Anche sui social media, la strategia di Mélenchon non è stata quella più usuale per un candidato della sua età: il suo team ha gestito con successo l’esordio su TikTok, dove i suoi 2 milioni di follower hanno visualizzato ogni giorno pillole del suo programma elettorale e video ben adattati ai codici della piattaforma con musica coinvolgente e frasi mirate, come quello in cui beve il suo latte alla fragola prima del dibattito televisivo con Zemmour.

 

Anche su YouTube si è distinto con contenuti inediti, come la serie “2022: i nostri passi aprono la strada” che ha permesso ai suoi 763.000 iscritti di sbirciare dietro le quinte della campagna presidenziale. E ancora su Twitch, dove il candidato conta 101mila follower e ha organizzato periodicamente delle live per rispondere alle domande degli utenti. Parallelamente a questo, c’è stata una campagna guidata dai sostenitori di La France Insoumise, molto attivi su Twitter e YouTube, ma anche su Telegram e Discord. In particolare quest’ultimo si è rivelato uno strumento organizzativo molto potente, utilizzato come sistema di messaggistica orizzontale dai circoli militanti già nel 2017.

Il candidato di estrema destra Éric Zemmour è il secondo contendente ad essersi imposto sul web in modo originale. Ciò che è stato piuttosto impressionante nella campagna guidata dal team di Éric Zemmour è stato il fatto che, soprattutto su Twitter, sono riusciti a utilizzare le regole di questo social network e a ribaltarle in modo assolutamente trasparente, facendo un uso massiccio di “tecniche di manipolazione” per innalzare artificialmente le tendenze su Twitter. Ricordando che è un candidato outsider senza partiti politici alle spalle, Zemmour ha sviluppato la propria campagna digitale beneficiando del supporto della comunità di estrema destra francese, molto presente e consolidata sul web che utilizza veri e propri strumenti di propaganda ispirati all’estrema destra americana. Parallelamente lo staff di Éric Zemmour ha scelto di puntare sul suo canale YouTube che conta molti più iscritti di quello del presidente Macron (460mila iscritti contro 254mila), inaugurando nuovi format come l’intervista con l’influencer dei reality Magali Berdah. Ha lanciato anche un motore di ricerca Zemmour pour tous, in grado di trovare in poco tempo su YouTube gli estratti video o passaggi di interviste su argomenti mirati del candidato: proprio quello che serve all’elettore per convincersi della bontà delle argomentazioni. 


Ci sono poi i due “finalisti” alle presidenziali. Per quanto riguarda Emmanuel Macron, la sua presenza sui social rimane importante, confermando la sua affinità con il linguaggio digitale: la creazione del proprio server su Minecraf, il video con gli youtuber Macfly e Carlito e la trasmissione “Sans Filtre” su Twitch per spiegare l’attualità agli under 30 ne sono alcuni esempi. Tuttavia la sfida di questa elezione era di mettere in piedi una campagna di comunicazione bilanciata tra il ruolo di presidente e quello di candidato, pubblicando una quantità minore di contenuti e cercando di mantenere uno stile istituzionale senza ingaggiare quasi mai un thread di conversazione diretto contro la sua principale avversaria. 

Le Pen ha invece scelto una strategia di comunicazione con un presidio assiduo sui social e una frequenza di contenuti molto alta sui temi di campagna, ma ha sfruttato l’immagine più moderata che le ha conferito la candidatura di Zemmour per comunicare messaggi più avvolgenti e rassicuranti. Sottolineando, ad esempio, la sua identità di donna e madre e ”femminilizzando” la sua percezione.


Queste presidenziali sono state segnate anche dall’emergere di Twitch: molti politici hanno partecipato a dibattiti su questa piattaforma sfruttando la possibilità di diffondere i propri messaggi senza limiti di tempo. Trasmettere video in diretta, accompagnati da una chat interattiva a cui tutti possono partecipare, non è una vera e propria innovazione tecnologica, ma la novità è che questo strumento permette la costruzione di una propria community, formando o rafforzando un gruppo di attivisti e permettendone l’interazione con il leader politico.

Social network, un modo per far votare i giovani?

Miniserie dal sapore “netflix”, comizi in streaming su Twitch, qualche passo di danza su Instagram e uno strike al bowling su Tik Tok: mai una campagna presidenziale francese si era finora giocata tanto sui social media, soprattutto per conquistare il voto dei giovani. Ci sono riusciti?

Il caso più eclatante è sicuramente quello di Melenchon. Mai come questa volta è andato vicino al ballottaggio, trainato dal voto dei giovani. Oltre alla mobilitazione dell’elettorato astensionista e al voto utile progressista che analisti hanno individuato come fattori a suo favore, l’offerta antiglobalista, ecologista e movimentista ha spopolato nella fascia 18-34 anni. Lo sforzo comunicativo ha fatto poi la differenza, ripagando il leader dell’estrema sinistra e permettendogli di raggiungere un elettorato molto giovane. In questo senso è interessante capire da dove nasce questa attenzione per gli elettori più giovani: un articolo di BFMTV analizza i profili di alcune delle figure più importanti dello staff del candidato, sottolineando il fatto che si tratta di trentenni-quarantenni. Una dinamica molto simile a quella di altri politici “âgée”, che hanno contribuito a dettare l’agenda delle forze progressiste occidentali in questi ultimi anni, come Bernie Sanders negli Stati Uniti e Jeremy Corbyn nel Regno Unito: anche loro candidati radicali e, forse proprio per questo, sostenuti soprattutto da militanti ed elettori molto giovani e tutti e tre molto attenti a sviluppare uno stile di comunicazione più contemporaneo.

Più in generale, sondaggi e analisi sociologiche del voto restituiscono uno scenario del primo turno in cui Macron è al primo posto tra gli over 60, Marine Le Pen è il candidato più votato nella fascia di età 35-59 anni, Mélenchon è in testa tra gli under 35 e Zemmour conquista le percentuali maggiori nella fascia 18-24 anni e over 70. Tendenze confermate anche al secondo turno, dove la vittoria di Macron si basa sul voto dei più anziani, con il 59% dei voti espressi nella fascia 60-69 anni e il 71% tra gli over 70.

Ad eccezione di Mélenchon, sembrerebbe dunque che un uso massiccio dei social media e degli strumenti di comunicazione digitale non sia bastato per conquistare il pubblico più giovane alle urne. A dimostrazione che, sebbene non si possa pensare la politica senza strategia e comunicazione, oggi più che mai “content is king”: la politica viene prima, soprattutto se l’obiettivo sono i più giovani.