Linkedin è ancora una piattaforma apolitica?   

Articolo di Greta Mosca

Da più di un decennio, ormai, è praticamente impossibile immaginare di fare politica senza comunicare sui e con i social. Proprio attraverso il ricorso alle nuove tecnologie e a un uso sapiente e coordinato degli strumenti digitali, la comunicazione politica si è trasformata ed evoluta diventando sempre più abile nell’influire direttamente sulla mobilitazione degli elettori e sul consolidamento del consenso. Riflettendoci, quanto spesso siamo fruitori – anche involontari – di informazioni politiche veicolate online? Ogni quanto ci capita, specialmente durante le campagne elettorali, di imbatterci nella presenza di un politico sui social network? Praticamente quasi sempre.  

Esiste però una piattaforma che, per lo meno in Italia, è sempre sembrata scevra da ogni tipo di “contaminazione” politica: LinkedIn. Per la sua natura tipicamente professionale, per la tipologia di fruizione che ne fanno gli utenti, e per l’algoritmo applicato, non è un canale che intuitivamente siamo abituati ad associare alla politica, o sul quale possiamo dire di esserci inavvertitamente imbattuti in contenuti politici. Tuttavia, in linea con numerosi leader mondiali, a maggio di quest’anno la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni è sbarcata anche su LinkedIn. Seppur con performance ad ora comprensibilmente più contenute – in tre settimane ha comunque superato 13 mila follower e quasi 20 mila interazioni – la leader di Fratelli d’Italia sembrerebbe aver deciso di esplorare le potenzialità di una piattaforma che tendenzialmente viene ancora considerata un’area “politics free”.  

Dunque, ci siamo chiesti: è ancora vero che la politica italiana non è presente su LinkedIn? Politica e piattaforme professionali sono davvero due mondi lontani? 

Dal punto di vista prettamente numerico non si può certo dire che Linkedin sia la piattaforma preferita dai parlamentari italiani: con un’incidenza del 44%, sono infatti solo 268 i rappresentanti politici presenti sul social, tra 198 deputati (49%) e 70 senatori (34%). Un dato simile, se osservato solo da un punto di vista quantitativo, potrebbe indurre a crede che sì, LinkedIn non sia al pari di Facebook, Instagram e Twitter – rispettivamente con il 92%, 76% e 74% di presenze – ma in piena competizione con YouTube (40%) e nettamente più popolato di TikTok (13%). Ma se andiamo oltre la valutazione della mera presenza o meno di un account, e lo analizziamo da un punto di vista qualitativo, osservando la frequenza di pubblicazione, la tipologia di contenuti pubblicati e le informazioni fornite nel profilo, allora i dati cambiano. Non solo oltre l’85% degli account presenti è inattivo da più di un anno – il che già denota una scarsa considerazione del profilo in sé e dell’utilizzo della piattaforma – ma nella maggior parte dei casi a spiccare nella biografia non è l’attuale ruolo politico quanto l’occupazione pregressa – antecedente alla carica istituzionale ricoperta – che perfettamente si inquadra su una piattaforma professionale come LinkedIn. Un utilizzo effettivo del canale, ragionato e strutturato all’interno di una più ampia strategia comunicativa, è dunque operato solo dal 15% dei parlamentari italiani – 89 su 606 – dunque, percentuale nettamente inferiore a YouTube e al pari di TikTok.  

Sul fronte partitico, la presenza numericamente (*) più significativa è di Fratelli d’Italia, con 28 parlamentari – tra 8 senatori e 20 deputati – attivi sulla piattaforma, seguito, a considerevole distanza, da un pareggio tra Movimento 5 Stelle ed ex Terzo Polo con 14 rappresentanti ciascuno (rispettivamente 4 senatori e 10 onorevoli per il primo, e 7 senatori e 7 deputati per il secondo), e Lega con 13 membri, di cui 3 senatori e 10 deputati. Seppur più popoloso, il gruppo di FDI non è tuttavia il più seguito su LinkedIn: solo Giorgia Meloni e Adolfo Urso, infatti, rientrano nella top 10 dei profili con un maggior numero di follower, mentre sono 3 – 4 se si considera l’indipendente di area PD Cottarelli – i dem tra i parlamentari più seguiti, in primis l’ex segretario Enrico Letta, in assoluto il politico con il seguito maggiore.  

Salvo casi eccezionali, i volumi di follower su LinkedIn sono significativamente inferiori rispetto agli altri social network. A differenza delle migliaia di seguaci che la politica italiana raccoglie – specialmente – su Facebook, Instagram e Twitter, la media su LinkedIn è di 941 seguaci, con uno scarto evidente anche per i profili più datati e maggiormente performanti. Nella top 3 dei parlamentari con le fanbase LinkedIn più ampie abbiamo l’ex segretario del Partito Democratico Enrico Letta con 87.523 follower, la precedente Sindaca di Torino Chiara Appendino con 64.979K follower, e il dimissionario senatore Carlo Cottarelli con 42.505 utenti, tutti e tre parlamentari con un buon seguito anche altrove ma che tendono a spiccare solo su una delle piattaforme: Letta e Cottarelli su Twitter, rispettivamente 740.007 e 341.893 seguaci, e Appendino su Facebook con 260.654 follower. 

Per quanto riguarda i leader di partito, gli unici che utilizzano la piattaforma come concreto canale di comunicazione politica – e che hanno aperto l’account solo recentemente quindi con un’esplicita intenzione politica – sono Giorgia Meloni (13.604 follower) e Giuseppe Conte (3.121 follower), mentre profili ormai inutilizzati risultano quelli di Emma Bonino, Elly Schlein, Matteo Renzi e Carlo Calenda. I leader dell’attuale ex Terzo Polo, a differenza delle colleghe, si differenziano però per aver “abbandonato” il proprio profilo dopo averlo temporaneamente utilizzato per scopi politici – principalmente condivisione di interventi o manovre su temi di natura economico-finanziaria o occupazionale (e quindi in linea con la ratio del social) – quasi a confermare l’impressione diffusa che LinkedIn non sia il social più adeguato ed efficace per le comunicazioni politiche. Spesso LinkedIn viene utilizzato, infatti, come social secondario per rilanciare contenuti integrali o maggiormente approfonditi condivisi su altre piattaforme – come dichiarato esplicitamente in uno degli ultimi post della leader di Fratelli d’Italia.  

Elemento tanto interessante quanto distonico rispetto ai dati rilevati fino ad ora, emerge da un’analisi della sfera istituzionale. Gli organi politici, infatti, non solo sono massivamente presenti su LinkedIn, ma hanno anche una buona frequenza di pubblicazione e un discreto seguito. Aperti un anno fa, i profili della Presidenza del Consiglio dei Ministri (155.253 follower), della Camera dei deputati (38.873) e del Senato della Repubblica (34.643) veicolano sulla piattaforma i contenuti più vari – dai analisi e dossier specifici al calendario dei lavori, da dirette streaming su provvedimenti e decreti a post più leggeri che raccontano fun fact e aneddoti sulle istituzioni o sul palazzo che le ospita – declinando ognuno di questi con un tone of voice istituzionale ma insospettabilmente piuttosto catchy. Con il Governo Meloni si assiste ad un complessivo incremento del ricorso a questi canali istituzionali pur mantenendo lo stesso filone narrativo e stile comunicativo. Unica eccezione per l’account della Presidenza del Coniglio: l’assenza del Premier Draghi dai social network aveva comportato la rimodulazione dei canali ufficiali di Palazzo Chigi, intensificandone l’attività e veicolando messaggi più personali, con un maggior numero di dirette e quote del Presidente e, nel caso di LinkedIn, l’apertura di un nuovo profilo (gli altri account sono stati aperti tra il 2012 e il 2017). Presenti nella loro quasi totalità – ad eccezione di Interno, Agricoltura e Istruzione – sono anche i dicasteri, con una media di 100.000 follower. Più seguiti tra tutti sulla piattaforma, non a caso, sono il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (274K) e quello del Lavoro (220K).  

La sensazione che nel nostro Paese LinkedIn e politica siano ancora due realtà tendenzialmente separate e non permeate trova, dunque, un suo riscontro empirico e tangibile nei numeri di parlamentari presenti online. Nonostante l’anzianità della piattaforma – lanciata nel 2003, prima di tutte le altre politicamente più gettonate –, i 17 milioni di utenti in Italia (*dato al terzo trimestre del 2022), e il consolidamento e la penetrazione avvenuta in molti altri Stati i cui leader ricorrono da anni a LinkedIn come ulteriore canale di informazione, in Italia il taglio della piattaforma non sembra ancora adatto alla narrazione politica. Vuoi la ratio di “social delle relazioni lavorative”, vuoi perché la politica è presente già su tutti gli altri canali, gli utenti di LinkedIn non sembrano premiare particolarmente nemmeno gli account politici più attivi e proliferi. È anche vero, tuttavia, che i nuovi canali delle istituzioni politiche sembrerebbero riscuotere un buon successo, così come non è da sottovalutare la recente decisione di Giorgia Meloni e Giuseppe Conte – molto seguiti ed engaging sugli altri social – di approdare su LinkedIn. Non si tratterà, forse, di un primo accenno di cambiamento? Un segnale che la politica italiana sta trovando il proprio spazio anche su un social così restio come LinkedIn? Sembrerebbe quindi opportuno sospendere il giudizio e valutare come si evolveranno queste nuove dinamiche, soprattutto a seguito dell’ingresso della Presidente del Consiglio Meloni che già in passato, come successo per TikTok, non è stata la prima ad arrivare su una piattaforma ma è stata vettore trainante per un buon numero di colleghi.   

(*) per una fotografia reale e significativa della presenza politica su LinkedIn, i dati forniti tengono in considerazione esclusivamente profili attivi o inutilizzati da meno di 6 mesi.